I luoghi della memoria sono la
misura di tutto ciò, il rifrangersi di una voce che da quel
silenzio fiorisce in avventure; ricordano l'unità del
possibile, che risale il corso del divenire. Non rammemorano
accadimenti, ma ne richiamano la genesi non estinta e
l'attuale risonanza musicale con il loro lontano e ideale
presente. Ambienti identici a se stessi, mentre mutano,
forse proiezioni della dimensione sovrasensibile nella quale
si muove lo spirito; ombre di un 'infinito adesso' che
ospita il tempo a partire da uno scopo non soltanto pratico,
lo spazio a partire da un risultato non soltanto
utilizzabile, ma concentrato e disteso intorno allo sguardo.
Sono quei momenti, rari, quei luoghi apicali, nei quali la
natura si autotrascende e crea un'opera d'arte: un'immagine
d'infinito nel finito.
La virtù rigenerante di tali
luoghi, simbiosi di conquista attiva e di passiva
elargizione di risorse non esigibili, viene incontro al
protagonista della separazione e lo attende dopo lo
smarrimento; così la memoria si trasforma, da nostalgia
inutile, in sogno reale, più concreto della consistenza
della pietra; un sogno di ricongiungimento, valido per
qualsiasi esperienza di distacco, e non solo per chi preferì
o subì un allontamento geografico. Gli esemplari del sogno
sono sempre in cammino, per intercettare il volto di chi li
disperse sul far dell'aurora.
Smerillo è un luogo della
memoria, di quella memoria profonda del creato che attinge
informazioni là dove il dire vien meno, sfumando nel
silenzio; quel silenzio che è grembo di mondi, secondo
un'ispirata e felice intuizione di David Maria Turoldo.
Smerillo è silenzio, anche quando a questo silenzio corrono
le voci della natura e dell'uomo: mai come frattura, sempre
come eco. Non è un caso, se la musica a Smerillo è anzitutto
musica dei suoni nativi, i primi convocati a scandire in
modo indiviso e olografico il rincorrersi delle ore.
Metanaturale e quasi metafisico
è il respiro dell'antico borgo, che trova nella speciale
collocazione aerea le ragioni per essere un segno di
confine. L'orientamento orografico, la vivacità delle
correnti d'acqua e d'aria, la vita inscritta nei substrati
rocciosi, i ritmi boschivi e i flussi arborei,
l'orchestrazione delle linee geofisiche ed eliache, le
derive panoramiche, sono altrettanti motivi che attirano e
attivano percezioni parasensoriali o extrasensoriali, e
quasi 'trascendenti'. La vista vede di più, l'udito ode di
più, il tatto sente di più, e non secondo la categoria del 'quanto',
ma del 'quale'; poiché lo spirito, che i sensi distribuisce
e regola, si riconosce spontaneamente nello spirito del
luogo.
A Smerillo, il pellegrino che a
sera fatta si trovasse sorpreso dal blu ceruleo del cielo,
mentre cirri di rosa e madreperla si sciolgono in lacrime di
zaffiro, proverebbe l'illusione di trapassare il tempo, un
tempo che si dirada oltre il profilo dei monti. Tra luci
d'un buio amico che gioca coi lampioni, e una armonia che
cinge i fruscii della pineta, ascolterebbe ctonie vibrazioni
come di voci d'antiche madri, voci dell'aria ovunque come
falchi, voci d'acqua e di ombre, voci dei boschi e della
terra (voci d'elfi e di gnomi?). Sospeso tra realtà e
fantasia, il plurisecolare castello è arcaico, primordiale,
improbabile, archetipo. Gli archetipi "li aspettiamo a
mezzanotte. E il nostro futuro è il tempo che essi hanno
vissuto. Tutto è stato. Gli archetipi ci assediano
travestiti da niente"(A. Valentini, Poesie, Fermo,
1996).
Smerillo non si sa mai se
esiste, o se è un miraggio, diverso com'è da tutto, coi suoi
anni pigri che dilatano in immoto un presente vivo e
surreale. Tra muretti di pietre calcinate e licheni,
immutata è la forma dell'aria su una tela che ha più di
mille anni, e quando la luce allaga le case, ombre lunghe
sui tetti avidi chiamano istanti in dissolvenza, sospesi
come sfida a raccontare ciò che sarà lungo una strada
lastricata di visioni. Ogni sole ha il suo diadema, e canti
di melodie fossili ritmano l'eco di una quiete audace,
attesa di una pista che l'oasi tramanda di eterno in eterno.