Propaggine di una ruralità
estrema, di una arcaicità multistratificata e persistente
fino al secondo dopoguerra, il paese non ha retto,
inizialmente, l'urto vivace della modernità; quasi del tutto
assenti le innovazioni tecnologiche, il ritmo della vita
contadina di allora sembrava ancorato ad epoche
appenniniche, se non neolitiche, e appariva stabile nel
flusso lento di una immobile tradizione popolare. Coloro che
sono nati qui negli anni cinquanta hanno sperimentato in
successione rapida un evolversi di condizioni e abitudini
che altrove è stato più graduale e anticipato, meglio
elaborato. Così nel momento del cosiddetto miracolo
economico italiano il territorio ha avuto ben poco da
offrire, lo spopolamento è stato massiccio, l'impoverimento
del tessuto umano e ambientale altrettanto.
Per anni Smerillo ha incarnato
l'immagine di un rudere pronto a dissolversi; erano gli anni
dell'ottimismo produttivo, della corsa allo sviluppo senza
limiti, dell'arricchimento diffuso, della celebrazione
dell'industria, della macchinosità senza pause, delle catene
di montaggio: di fronte a tutto questo un carraio o un
ciabattino smerillesi, pur valentissimi, facevano figura di
reperti preistorici. I coloni a mezzadria sono stati, come
era logico aspettarsi, i primi a evadere in massa; altri li
hanno seguiti alla spicciolata; le campagne sono diventate
quasi deserte, le frazioni e il centro si sono svuotati. Ma
chi ha potuto, o chi è stato più sensibile, è restato, a
testimoniare un attaccamento, l'attesa di una rinascita
'impossibile'.
Oggi quell'attesa promette di
realizzarsi; Smerillo si è rinnovato lungo due direttrici:
una verso le proprie origini di pietra e di bosco, di roccia
e di vento, di sole e di pane; l'altra verso un uso sapiente
della tecnologia e della promozione turistica, che ha
portato ai cicli di cinema tra le stelle, alla musica, agli
incontri gastronomici, al museo naturalistico, alla pratica
amatoriale dell'astronomia, alle proposte di ripresa di
contatto con un ambiente non alterato.
Nel frattempo il boom industriale
ha ceduto il passo a un'ansia globalizzata, il lavoro è
diventato una variabile secondaria nei grandi giochi del
capitale; la competenza è stata asservita a una concorrenza
che è obbligo per tutti, ma che pochi possono vincere,
mentre tanti la subiscono frastornati e potenzialmente
soccombenti. Al tempo è stato richiesto di frantumarsi in
frazioni d'efficienza, allo spazio di farsi gigantesco
mercato, mentre la virtù più genuina della vita, quella che
conserva il battito profondo del cielo e della terra, degli
umani e dei divini, è obliata dietro paraventi artificiali.
Smerillo ha l'ambizione di
proporsi come un luogo senza paraventi, dove quella virtù
può essere nuovamente incontrata o intercettata per la prima
volta, tessuta o restaurata. Un luogo-immagine che
simbolicamente racchiude presenza e distanza, convergenza a
opposizione; e che addita una corrispondenza tra l'uomo e la
propria misura, forse quella tensione all'interno del polo,
unitario e dialettico insieme, tra quel che si è e la
differenza energetica che chiede di essere esplorata e
colmata.
Smerillo invita a prendere atto di questa differenza, a
dimenticare l'oblio delle direttrici fondamentali
dell'essere. Lo fa con i segni e, per chi ha la costanza di
coglierli, con l'efficacia dei segni stessi. I segni sono le
rocce e i loro cantici, i silenzi e le loro sonorità, i
boschi, le pietre accoglienti dei manufatti abitativi e
agrosilvestri. L'efficacia dei segni risiede nella
comunicazione-condivisione: convivialità con prodotti
direttamente naturali, soggiorni d'immersione paesaggistica,
scoperta delle potenzialità vitalizzanti del contatto con la
natura e con i suoi elementi,
contemplazione-osservazione-azione verso il cosmo stellato e
quello boschivo, riappropriazione della durata del tempo
dell'oggi fra le ombre delle meridiane astronomiche e quelle
scandite dagli orologi geologici.